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IL MAESTRO NELLA BIBBIA
Atti del Seminario
internazionale
su "Gesù, il Maestro"
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)
di Mons. Gianfranco Ravasi
I. La Parabola anticotestamentaria dellinsegnare
Parliamo di "parabola" perché si tratta di descrivere una specie di percorso, che comprende due tappe:
1. Primato della teofania
In assoluto, il punto di partenza è sempre la grazia. In principio cè lepifania di Dio. In principio cè la Parola divina che infrange il silenzio del nulla e dellignoranza delluomo. «Dio disse: "Sia la luce". E la luce fu». Allinizio cè questa Parola, radicale e fondamentale, senza la quale ci sarebbe il vuoto, il nulla. Nessuna altra parola risuonerebbe. Allinizio cè questa presenza assoluta dellunico Signore e Maestro che è Dio.
San Paolo (in Rm 10,20) si sorprende per una bellissima frase di Isaia: «Il profeta osa dire: Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano». Luomo se ne va per le sue strade, se ne andrebbe allinfinito lontano, se a un crocevia non si presentasse lepifania di Dio, la sua Parola. In principio quindi cè la Sapienza di Dio. Nella Genesi (1,3) cè proprio questa frase: «Dio disse». O nel Nuovo Testamento: «En archè èn ho logos, in principio cera la Parola (per eccellenza)», la grande teofania iniziale, senza la quale non cè nessun insegnamento. Senza la grazia non esiste la parola nostra; senza la Parola di Dio non esistono le nostre parole. (torna al sommario)
I (tre) luoghi della teofania.
Dove e come si manifesta Dio? Ricordiamo tre luoghi nei quali si offre la "lezione" di Dio, la prima "lezione" assoluta.
1º. La Parola o lezione di Dio si manifesta innanzitutto nella Torah (nome derivato da una radice ebraica, jrh, che significa "insegnare"). È linsegnamento per eccellenza, la "dottrina" per eccellenza di Dio. Perciò noi dobbiamo ascoltare la prima lezione divina attraverso lascolto della Legge. Tutto il Salmo 119 (118 della Volgata) è un inno grandioso, monumentale alla Parola di Dio più che alla Legge (Torah). Pascal lo recitava tutte le mattine; una volta, almeno nel breviario del rito ambrosiano, lo si recitava tutti i giorni, tutto intero, durante le ore della giornata. È una lode continua, una specie di moto perpetuo: non soltanto la costruzione è in 22 strofe, con un gioco alfabetico, ma ogni versetto deve avere almeno una delle otto parole con cui si definisce la Parola di Dio. Ebbene, questo canto continuo della Parola di Dio è la celebrazione della prima, fondamentale lezione che dobbiamo ascoltare, una lezione di vita, (è anche legge), non solo una lezione di conoscenza del mistero di Dio.
Nel Salmo 25 (versetti 4, 5, 8, 9, 10 e 12) continuamente si chiede a Dio che, rivelandoci la sua Parola, ci indichi la via. «Io sono la via, la verità e la vita», dirà Cristo. Con un piccolo particolare: in ebraico, il termine via, derek, ha alla base probabilmente una radice di origine cananea che significa la vigoria sessuale, lenergia vitale. Allora, dire: «Io sono la via e la vita» si può quasi esprimere con una parola sola: «Io sono la via». Indicare la via vuol dire anche indicare la via della vita. Daltronde, la via in tutte le culture è un grande simbolo della esistenza stessa. In questo senso la celebrazione della via che la Torah ci offre è la celebrazione, come dice il Salmo 119, della lampada che illumina i passi della nostra esistenza (v. 105).
Ancora, nel Salmo 143,10 chiediamo: «Insegnami (è il verbo del maestro, rivolto a Dio!), insegnami a compiere il tuo volere, perché tu sei il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana». Troviamo qui le due immagini, le due componenti: «Insegnami il tuo volere», la tua volontà, non solo il tuo mistero, ma un mistero efficace, che agisce in me. E poi mi guiderai «sulla terra piana», nel sentiero dellesistenza.
2º. Lepifania del Signore-Maestro si presenta nelle sue opere salvifiche, nelle sue azioni di salvezza, come leggiamo nel Salmo 103 (versetto 7): «Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli dIsraele le sue opere». Per la legge del parallelismo, qui vengono descritte non più "la mia via", ma "le vie di Dio". E qual è la via di Dio? Sono le sue opere, le sue opere di salvezza, inserite nellinterno della storia. La Bibbia è la storia di Dio ed è la celebrazione del Dio della storia, la Bibbia è una storia della salvezza.
Di qui alcune conseguenze di questa tesi fondamentale. Gli Ebrei hanno chiamato lungamente Mosè con un appellativo: morenu, che vuol dire "il nostro maestro". E come viene rappresentato questo "nostro maestro"? «Io sarò con la tua bocca», dice il Signore a Mosè, «ti istruirò in quello che dovrai dire» (Es 4,12; cf 24,12). E che cosa farà poi Mosè? Parlerà e salverà. Dio usa perciò anche dei maestri concreti. Per la sua storia della salvezza passa attraverso di noi, che pur siamo fragili. Mosè sarebbe stato lultimo da scegliere, come maestro: era balbuziente, era incapace di parlare, aveva in sé una debolezza costituzionale: «Manda un altro» (si scusa in Es 4,13; come succede in altri racconti di "vocazione con obiezione").
Una seconda considerazione. Che cosa dobbiamo dunque trasmettere, che cosa narrare nella nostra catechesi? Che cosa insegnare? La risposta si trova nel Salmo 78 (il secondo più lungo della Bibbia, dopo il 119), che possiamo intitolare come fa la Bible de Jérusalem: «Le lezioni della storia della salvezza». Ciò che noi dobbiamo trasmettere ed annunciare è non il Dio remoto e astratto, non «il Dio dei filosofi» (per usare ancora la famosa espressione del Memoriale di Pascal), non il Dio dei sapienti, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio salvatore.
3º. Dopo lepifania di Dio nella Torah e nella storia, lepifania di Dio si manifesta anche nelloscurità della prova, nella tenebra, nel suo silenzio. A questo riguardo, due libri dellAntico Testamento sono particolarmente interessanti e significativi: Qoèlet e Giobbe. In essi si riesce a vedere la rivelazione di Dio nellinterno del silenzio.
Essi, però, non ci danno la manifestazione del Dio-Maestro, che invece troviamo esplicitamente in un versetto del Deuteronomio (8,5): «Come un padre corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, ti corregge». È bellissima questa immagine del maestro-padre (questi due aspetti anche nei Proverbi coincidono: il maestro è pure il padre, il discepolo è anche il figlio). Questo maestro conosce, tra laltro, la strada della durezza, una via che il discepolo non riesce a comprendere. «Le mie vie non sono le vostre vie» (Is 55,8).
Cè, quindi, una paidèia, se vogliamo usare lespressione greca, una pedagogia divina purificatrice. Cè una parola divina che sconcerta, nel bene e nel male. In Geremia (23,29) la Parola di Dio viene rappresentata come un martello che spacca la roccia, come una fiamma ardente che brucia, e consuma. Spessissimo, nellAntico Testamento, la Parola di Dio si autorappresenta con immagini "offensive". Questo avviene anche nel Nuovo: la lettera agli Ebrei (4,12) evoca la Parola di Dio come spada che taglia la superficie, la pelle, e penetra fino alle giunture, fino alle ossa, al midollo. Cè dunque una paidèia che si sviluppa nelloscurità (un tema molto bello e suggestivo). Cè da ringraziare Dio, invece di sentirsi imbarazzati, che nellAntico Testamento esista un libro come Qoèlet, un libro della crisi, della crisi della Sapienza: un maestro che non crede più in quello che insegna, e che non attende forse più nulla, ma che comunque riflette e anchesso è parola di Dio! su questo misterioso parlare-insegnare di Dio attraverso il suo silenzio, attraverso il vuoto. Oppure, è significativo che nellAntico Testamento ci siano delle pagine come quelle del libro di Giobbe, dove il protagonista bestemmia. In quel momento, Dio passa attraverso quasi la negazione di se stesso. Come diceva Bonhoeffer: Dio non ci salva in virtù della sua onnipotenza come Signore e Maestro, come Padrone ; Dio ci salva in virtù della sua debolezza, diventando fratello delluomo in Cristo, attraverso la sua impotenza, la sua sofferenza. Parlando tuttavia dellinsegnamento del Maestro divino attraverso il suo silenzio e la prova, occorre ricordare che, pure in quel momento, Dio non cessa di essere il Maestro che serve, anzi forse in quel momento è vicino alluomo molto di più di prima.
Osea (11,3-4) esprime la tenerezza paterna anche nella severità: «Io ho insegnato i primi passi a Efraim. Me li prendevo sulle braccia, con legami pieni di umanità, li attiravo a me, con vincoli damore». Efraim rimane ribelle; però questo padre, pure se il figlio non capisce, ha sempre vincoli damore, perfino quando punisce, come un padre corregge il figlio. A questo riguardo cè una bellissima immagine del grande pensatore danese Soeren Kierkegaard, nel suo libro Timore e tremore, dedicato nella sua maggior parte a Gen 22 (il sacrificio di Isacco). Soeren Kierkegaard usa questa immagine, che tra laltro è vera in Oriente: la madre, quando deve svezzare suo figlio, si tinge di nero il seno, perché il figlio non abbia più a desiderarlo, e cominci a nutrirsi da solo. In quel momento il bambino odia sua madre, perché gli toglie la fonte del suo sostentamento e anche del suo piacere (pensiamo a quel che ha detto la psicanalisi a questo riguardo); eppure egli non sa che in quel momento la madre, mentre lo distacca da sé e sembra crudele, mai lha amato così tanto, perché lo fa diventare uomo capace di vivere da solo nel mondo, lo fa creatura libera (e quante madri non hanno staccato il figlio dal seno, anche se non materialmente, e lo fanno ancora succube!). Ecco: anche nel momento della prova, non dobbiamo mai dimenticare il mistero del Dio Padre e Madre. (torna al sommario)
2. Luomo maestro
Luomo istruito da Dio diventa a sua volta maestro, viene inviato come maestro. Tre brevi considerazioni al riguardo. (torna al sommario)
a) Il padre al figlio
Il magistero fondamentale è quello che passa attraverso la comunicazione interpersonale, la catechesi familiare, una relazione damore. Abbiamo esempi molto illuminanti a questo riguardo. Nei Proverbi, il padre continuamente dice: «Figlio mio...», e al figlio dona la sua sapienza. In questo caso il maestro, che è padre, non può che desiderare che il discepolo cresca; cosa che invece il maestro-padrone non vuole, perché è geloso della sua supremazia intellettuale. Il padre pensa: "Bisogna che lui cresca e che io diminuisca", come il Battista (cf Gv 3,30). E il capitolo 31 (sempre dei Proverbi), con quella strana finale, la celebrazione della donna sapiente, è probabilmente anche la conclusione di un itinerario didattico. Dopo aver svolto la sua lezione, il maestro-padre saluta il figlio che ha trovato la sua sposa. Questa sposa è una donna ideale, perfetta, ma è anche la Sapienza: il giovane è diventato a sua volta maestro, sapiente. Tale dovrebbe essere il nostro scopo. Dobbiamo sparire, insegnando agli altri. Dobbiamo far sì che laltro sia capace di crescere nella fede e nella conoscenza, e poi ritirarci.
In Esodo 12, con la descrizione del rito pasquale, troviamo ciò che viene fatto dagli Ebrei attraverso lhaggadah. Questultima è una narrazione che comprende un dialogo tra il padre e il figlio sul significato dei riti, per giungere alla scoperta dellazione di liberazione di Dio. Qui vediamo quale sia la funzione del maestro nella famiglia, nella relazione damore: è quella dinsegnare la libertà, di far conoscere un Dio che è liberatore, non colui che timpone la cappa di piombo delle sue norme, ma che ti indica la strada gioiosa della sua volontà, che è libertà e salvezza.
Da ultimo, il Salmo 78 nella sua prima diecina di versetti ci offre una suggestiva rappresentazione della catechesi. Che cosè la vera catechesi ecclesiale? È un continuo comunicare, di padre in figlio, di generazione in generazione, le grandi opere di Dio, la grande linea dinamica di salvezza entro cui noi siamo immersi. (torna al sommario)
b) I sacerdoti-profeti-sapienti
Tra i maestri ci sono anche i sacerdoti, i sapienti, i profeti. Potremmo offrire molti dati su questo tipo di insegnamento. Basti citare come esempio 1Sm 3. Il sacerdote di nome Eli, il maestro di Samuele, è il direttore spirituale per eccellenza, che non si sostituisce al discepolo, ma gli insegna come deve scoprire la sua vocazione, di chi sia quella voce che nella notte lo chiama.
Un altro modello, molto interessante per il problema dellinculturazione, sarebbe quel maestro che ha scritto attorno allanno 30 a.C. il libro della Sapienza. Egli si presenta come Salomone, il supremo sapiente. Il libro della Sapienza è il tentativo di riscrivere la grande lezione di Israele con le categorie filosofiche del mondo greco, in un altro orizzonte culturale. Paolo è lesempio più alto di questa operazione di mediazione culturale, di inculturazione, di ritrascrizione del messaggio semitico di Cristo in nuove coordinate, in modalità nuove.
In Neemia 8, il personaggio che domina è Esdra, il sacerdote, che fa la sua lezione sulla Parola di Dio. È un maestro significativo perché ci rivela come possiamo diventare noi stessi maestri della Parola di Dio. Nellepisodio potremmo individuare sette "stelle", cioè una costellazione di sette componenti che sono la rappresentazione di questo magistero della parola:
Dunque, sette parole: leggere, spiegare, comprendere; ascoltare, piangere, donare, celebrare. Tale è la traiettoria allinsegnamento compiuto nellinterno della comunità ecclesiale attraverso i vari ministeri dellannunzio. (torna al sommario)
c) Pedagogia globale
La pedagogia biblica è una pedagogia globale. Non è un processo solo intellettuale. Facciamo una breve annotazione filologica. Lamàd, insegnare, è il verbo fondamentale del maestro. O meglio, lamàd non vuol dire insegnare, ma "imparare". Però, curiosamente, nella forma intensiva, limmed, diventa "insegnare". La stessa radice non distingue tra imparare e insegnare. E questo stabilisce un circuito. Il vero maestro è uno che impara anche, e il vero discepolo alla fine è capace di insegnare. Se il circuito non si chiude, non si ha un vero magistero. Il maestro, che non è attento al discepolo, è di sua natura condannato alla solitudine, alla torre davorio della sua elaborazione, ma non lascerà traccia. Per chi è abituato a parlare spesso in pubblico, una delle componenti fondamentali, anche tecniche, è di vedere e capire se lambiente è colmo di risonanza, se è in ascolto. Altrimenti si va avanti nel parlare, ma laltro non dialoga. Insegnare è dialogare. Anche se laltro tace. Ci si deve accorgere di entrare nellinterno della comunicazione, grazie anche alle domande presentate dallaltro. Oscar Wilde diceva: «A dare le risposte sono capaci tutti; per fare le vere domande ci vuole un genio». Ed è verissimo. Le grandi domande, che fanno andare avanti nella conoscenza, le pongono soltanto i geni. E di fatto la domanda, anche graficamente, noi la esprimiamo non con lesclamazione, che è una linea retta, ma con qualcosa che si aggroviglia in sé, che quindi lacera, che artiglia, che fa sanguinare.
Un altro verbo ricorrente nella pedagogia biblica è jaràh; jaràh-torah, il quale indica un insegnamento che è "via e vita", come abbiamo già visto.
Ancora: jasàr, donde deriva il sostantivo musàr, significa la "disciplina", cioè limpegno severo, ascetico del conoscere. Per essere veramente maestri bisogna avere la pazienza di stare ore e ore nello studio, nella fatica.
E da ultimo il verbo jada che vuol dire "conoscere" e implica tutte le dimensioni, la globalità simbolica dellinsegnamento biblico. Comprende laspetto intellettivo, laspetto affettivo (sentimento), laspetto volitivo (volere), laspetto effettivo. "Conoscere" indica persino latto sessuale. Perché si conosce anche con la passione e lazione, con la comunione dei corpi, si conosce con la convivenza, si conosce con lazione, costruendo insieme un progetto.
Concludendo la parabola anticotestamentaria dellinsegnare, occorre dire una cosa un po paradossale: scopo del maestro è rendersi inutile. Labbiamo già visto, ma ora va detto in maniera più forte, ricorrendo alla dimensione escatologica. Negli ultimi tempi il maestro non ci sarà più, perché ci sarà un Maestro interiore. Vi è una intensa frase nel vangelo di Giovanni (6,45), che cita Isaia 54,13: «Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno theodidàktoi, ammaestrati da Dio". Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me». Non ci sono più i mediatori. "È il Padre che ti parla e tu vieni a me", dice il Signore. Il testo di Isaia in ebraico (Giovanni cita il greco nella traduzione dei LXX) dice esattamente: «Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore». Bella definizione della comunità escatologica: tutti saranno "discepoli" del Signore.
Più rilevante ancora è loracolo di Geremia (31,31-34) sulla "nuova alleanza", il più celebre di tutti gli oracoli profetici, che costituisce anche la citazione più lunga dellAntico Testamento nel Nuovo, in Ebrei 8,8-12. Come sarà la grande, perfetta alleanza del nuovo Sinai? Come sarà il momento in cui noi avremo una comunità che sarà completamente in comunione con Dio? Ecco la risposta di Geremia: «Porrò io la mia torah nel loro animo; la scriverò sul loro cuore. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri»: non ci sarà più il maestro, il sacerdote, il profeta, il sapiente che dovrà dire allaltro: "Riconoscete il Signore". «Perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande». (torna al sommario)
Segue: Gesù Divin Maestro
Gesù Il Maestro, ieri, oggi e sempre
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