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Il MAESTRO NELLA
PATRISTICA
E NELLA TRADIZIONE ECCLESIALE
(in
particolare nel "De Magistro"
di S. Agostino e di S. Tommaso dAquino)
Atti del Seminario
internazionale
su "Gesù, il Maestro"
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)
di Franco Pierini ssp
4. il primo medioevo (450-950)
4.1. Sguardo generale
Data la scarsità delle fonti sullargomento, è un problema tuttora discusso se, come e quando la paideia antica sia scomparsa durante le invasioni barbariche e abbia poi dato luogo alla disciplina medievale. Lattenzione si concentra soprattutto sui secoli VI e VII: presenza o assenza di strutture scolastiche pubbliche? Il discorso poi si sposta ai secoli VIII-X: rinascita vera e propria della cultura antica o realtà completamente diversa? Ai sostenitori della assenza e della discontinuità (H.I. Marrou, E. Lesne) si contrappongono i sostenitori della presenza e della continuità (P. Riché, C. Xodo).(34)
Limpossibilità di decidere in un senso o nellaltro (perché appunto le fonti sono scarse e interpretabili in sensi diametralmente opposti) impone di non generalizzare e di ritenere per certo solo ciò che può basarsi su una documentazione chiara e sufficiente.
In alcuni casi (Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Gregorio I) appare evidente la sopravvivenza della paideia antica; in altri (Benedetto da Norcia, Gregorio di Tours) le tracce dellantica educazione paiono quasi scomparse. I primi sprazzi di rinascita giungono, paradossalmente, dal mondo anglosassone (Beda il venerabile), che influisce in maniera determinante, con Alcuino di York, sulla rinascita vera e propria, quella carolingia. Dopo di allora, nonostante le nuove invasioni di normanni, ungheresi e saraceni, non ci sarà più soluzione di continuità.
Sulla base di quanto è sopravvissuto, è comunque certo che ben presto compaiono scuole tipicamente cristiane, ma diverse da quelle del periodo pre-costantiniano e post-costantiniano. Nei primi decenni del sec. VI si sente parlare delle prime scuole ecclesiastiche rurali (concilio di Vaison del 529) e delle prime scuole episcopali (concilio di Toledo del 527). Molto precedenti sono le scuole monastiche, nate già in oriente col sorgere del monachesimo e poi anche in occidente: qui arrivano a perfezione con la Regola di Benedetto da Norcia, risalente al 530 circa. Allepoca di Carlo Magno nascerà infine la "scuola palatina", inserita nella corte imperiale. Quello che bisogna sottolineare è che le scuole rurali ed episcopali servono quasi esclusivamente per i candidati agli ordini sacri e al ministero pastorale o missionario; la scuole monastiche (che ricevono spesso come "oblati" dei bambini o bambine) per i candidati alla vita monastica. Gli aristocratici si servono di maestri privati, mentre il popolo scivola sempre più nellanalfabetismo.(35)
Nel mondo bizantino, nel mondo della cristianità orientale, la situazione si può considerare analoga, anche se meno drammatica che in occidente.(36)
Stando così le cose, la scuola di massa vera e propria si può effettivamente considerare scomparsa. Siamo perciò in unepoca di descolarizzazione. Per tutti, ma specialmente per il popolo, la scuola è ormai unaltra: la liturgia, con il suo insegnamento fatto di parole (predicazione), gesti (riti) e immagini (pitture, sculture, mosaici). Agli uomini del primo medioevo, perciò, Cristo come Maestro emerge soprattutto nellambito del contesto liturgico, nella pratica della preghiera.
Il Cristo Maestro del primo medioevo, il Cristo, cioè, che si può ascoltare, seguire e imitare, non è certamente il Cristo "Pantocrator" che si trova ritratto sugli archi trionfali o sui catini absidali delle basiliche paleocristiane o romaniche: il "Pantocrator" è al di sopra e al di là di ogni imitazione possibile. Il Cristo Maestro, in questi secoli, è soprattutto il Maestro orante, quindi il "Maestro interiore" secondo linsegnamento che viene non solo dalloccidente per opera soprattutto di Agostino dIppona ma anche dalloriente per opera in modo particolare della tradizione esicasta che inizia a farsi strada con Giovanni Scolastico, detto anche "Climaco" (579-649).
Il Cristo Maestro orante è la vittoria del cattolicesimo e dellortodossia sul pelagianesimo e sullarianesimo, che tendevano a ridurre il magistero e la persona di Cristo appunto a qualcosa di subordinato e di esteriore: subordinato nei confronti del Padre e perciò semplice semi-dio o superuomo; esteriore nei rapporti delluomo e perciò pura e semplice fonte di precetti morali e di buoni esempi. La lotta contro i barbari ariani, condotta dalla Chiesa soprattutto in occidente, fu quindi una questione di vita o di morte per il cristianesimo, che rischiava di diventare una scuola filosofica come quelle antiche o unorganizzazione moralistica al servizio dello Stato.
Le acquisizioni sul "Maestro interiore" raggiunte da Agostino risultano perciò determinanti e provvidenziali. Esse, come si sa, vengono confermate, contro i cosiddetti "semi-pelagiani" o "marsigliesi", nel II sinodo di Orange del 529.
È, dunque, la spiritualità del "Maestro interiore", del Maestro della preghiera quella che prevale a livello di massa. Essa è vissuta attraverso la liturgia, ma è anche elaborata in maniera particolare dalla teologia esicasta in oriente, che, affondando le proprie radici nelle opere di Origene, Gregorio di Nissa, Diadoco di Fotice, Pseudo-Dionigi Areopagita, porta progressivamente a Massimo il Confessore e soprattutto al già citato Giovanni Scolastico o Climaco (579-649), energico propagandista della vita di preghiera concentrata sul ricordo di Gesù e sullimitazione delle sue virtù e dei suoi sentimenti. Analoga funzione svolge in occidente la incipiente teologia "monastica" che, in questepoca, ha per rappresentante principale Gregorio I Magno (540-604), benedettino nello spirito se non nel senso formale della parola.(37)
Tuttavia, accanto al Cristo Maestro orante, appare ben presto, soprattutto nellambiente laico aristocratico, un altro tipo di Cristo Maestro: il Cristo amico, valoroso e leale, cavaliere. Raffigurato già come legionario romano nel famoso mosaico, risalente al sec. VI, della cappella del palazzo arcivescovile di Ravenna (con la destra tiene una croce appoggiata alla spalla, con la sinistra un libro con la scritta "Ego sum via, veritas et vita"), il Cristo Militante, il Cristo Cavaliere va incontro soprattutto alla mentalità germanico-barbarica (38) e trova una singolare espressione nella letteratura degli Specula principum, certo assai antica ma diffusasi particolarmente nellepoca del primo medioevo. Ne è un esempio assai significativo il Manuale di Dhuoda.
È una pedagogia cristiana che non tiene ancora conto delle polemiche contemporanee circa lumanità di Cristo (ladozionismo manifestatosi alla fine del sec. VIII e combattuto dai teologi carolingi, primo fra tutti Alcuino). Ma largomento diventerà di attualità nel periodo seguente.(39) (torna al sommario)
4.2. Cristo maestro, cavaliere e orante, di Dhuoda (843 circa)
Dhuoda fu una donna appartenente allalta aristocrazia dellimpero carolingio. Si sposò il 29 giugno 824 con il nobile Bernardo di Settimania, ed ebbe due figli: Guglielmo nell826, e Bernardo nell841. Il marito, accusato di tradimento da Carlo il Calvo, fu giustiziato a Tolosa nell844. Sei anni dopo incontrò lo stesso destino Guglielmo. Si salvò invece il secondo figlio di Dhuoda, Bernardo, che diventò padre di Bernardo Plantvelue e nonno di Guglielmo il Pio, fondatore dellabbazia di Cluny e perciò precursore della riforma gregoriana.
Dhuoda, trovandosi lontana dai figli, volle indirizzare al maggiore, Guglielmo, un manuale di consigli, che venne completato il 2 febbraio 843. Lintestazione è: Liber manualis Dhuodane quem ad filium suum transmisit Wilhelmum.(40) Nellepoca carolingia, questo genere letterario aveva avuto inizio con unopera di Alcuino indirizzata al conte Guido di Bretagna. Altri ne erano seguiti. Dhuoda si mosse perciò in una tradizione ben nota e consolidata. Loriginalità consiste nel fatto che lautore è una donna, la madre stessa del personaggio preso in considerazione.
Il contenuto del Manuale, considerato anche solo schematicamente, risulta assai significativo. Dhuoda comincia parlando della ricerca di Dio (cap. I), poi passa a trattare del Dio cristiano, ossia della Trinità (cap. II). Seguono i consigli al figlio circa i suoi doveri verso i rappresentanti di Dio sulla terra, prima di tutti il padre, poi gli altri dignitari, infine i sacerdoti (cap. III). Seguono i consigli riguardanti la vita quotidiana (cap. IV), le tribolazioni (cap. V), il problema della perfezione cristiana (cap. VI), la morte (cap. VII). Un capitolo assai dettagliato è dedicato alla preghiera (cap. IX). Si conclude con alcune considerazioni autobiografiche di Dhuoda (cap. X) e si torna infine a parlare della preghiera, trattando dei salmi (cap. XI).
È evidente da tutta la trattazione che Dhuoda vuole abbozzare quello che è definito "il libro del perfetto aristocratico", ossia il libro del perfetto cavaliere, del membro di quella "cavalleria" che proprio nei secoli VIII-IX andava costituendosi come ceto di professionisti delle armi e della vita di corte, prima ancora di costituirsi in forme stabili nei secoli successivi, dandosi contemporaneamente una vera e propria cultura, quella "cavalleresca", e una consacrazione anche liturgica.
Dhuoda esorta spesso il figlio non solo ad esercitare le virtù naturali e le virtù specificamente cristiane, ma anche a vivere le beatitudini, i doni dello Spirito Santo, perché Guglielmo possa "rinascere ogni giorno in Cristo" (VII,1), possa "crescere sempre in Cristo" (XI,2). Lo istruisce, inoltre, assai dettagliatamente circa la vita di preghiera. Molto spesso si ha limpressione che Dhuoda consideri suo figlio addirittura come un Cristo in miniatura, che deve identificarsi il più possibile col Cristo vero e proprio.
In ogni caso, ciò che risulta evidente dalla lettera e dallo spirito di questo Manuale più unico che raro è lo sforzo di delineare la figura del cavaliere "senza macchia e senza paura", virtuoso e devoto, modellato su un Cristo inteso appunto come esempio e suscitatore di cavalleria e di preghiera. (torna al sommario)
5. lalto medioevo (950-1250)
5.1. Sguardo generale
È superfluo sottolineare limportanza del periodo storico immediatamente precedente e posteriore al 1000. Come tutti sanno, fu un momento di passaggio fondamentale per tutta la cristianità, sia in occidente che in oriente, anche se con risultati opposti. In occidente, la rinascita, avviata già prima del 1000 (contrariamente a tutte le leggende catastrofiche circa la fine del millennio), è di carattere pressoché integrale: rifiorisce leconomia, aumenta la popolazione, si rianimano le città e si costituiscono i primi regni; parallelamente inizia la riforma cluniacense-gregoriana, si rinnova la società cristiana, si organizzano crociate, si pongono le basi della nuova cultura scolastica e della nuova scolarizzazione fino alla fondazione delle prime università. In oriente, al contrario, le varie cristianità si trovano sulla difensiva e poi in regresso sia di fronte allislamismo, sia di fronte allaggressività delloccidente.
Dal punto di vista più specificamente teologico, infatti, loriente cristiano è caratterizzato ormai dalla ripetitività. Lintellettuale più significativo dellepoca, Michele Psello (1018-1081), è poco più che un enciclopedico. Assume invece importanza straordinaria la figura di Simeone il Nuovo Teologo (949-1022), che sviluppa la corrente spirituale dellesicasmo, insistendo sul tema dellimitazione di Cristo, dellincontro col Maestro Divino fino al punto da "vederlo e contemplarlo già in questa vita". Spiritualità del Maestro interiore ed esteriore fino al punto da coinvolgere nellesperienza mistica tutta la sensibilità.(41)
Nelloccidente cristiano, invece, siamo appena agli inizi della grande avventura culturale che coprirà lintero millennio successivo. Si delinea, infatti, la contrapposizione non solo tra Chiesa e Stato attraverso la lotta contro le investiture, ma anche la contrapposizione fra pensiero mistico-simbolico e pensiero dialettico-razionale che porterà lo sviluppo delle scienze e delle conoscenze assai lontano.
Iniziatore del metodo dialettico-razionale nella nuova ondata culturale filosofica e teologica è Anselmo dAosta o di Canterbury (1033-1109): egli si pone di fronte al problema dellesistenza di Dio, cercandone la soluzione necessaria nella logica stessa (Proslogion); e si pone di fronte al problema di Cristo, cercandone la soluzione nella necessità della redenzione (Cur Deus Homo?). Così alla necessità di Dio si affianca la necessità di Cristo, Dio-uomo, che soddisfa per luomo. Il rapporto pedagogico fra Dio, Cristo e luomo non può essere concepito in maniera più stretta, dato che lintera cristologia è ricondotta alla soteriologia.
La razionalizzazione del discorso teologico iniziata da Anselmo porta però a conseguenze sconcertanti già in Pietro Abelardo (1079-1142), dato che i due misteri principali della fede, la Trinità e lIncarnazione, vengono ridotti al minimo dellaspetto misterico: le tre Persone vengono ridotte ad essere tre proprietà dellunico Dio (una specie di modalismo), lumanità in Cristo una specie di rivestimento accidentale della divinità (qualcosa come il docetismo). E così limitazione di Cristo (e, attraverso Cristo, di Dio) risulta impossibile; risulta impossibile ogni rapporto fra luomo-discepolo e Cristo-Dio Maestro.
Anche come reazione a queste tendenze già assai pericolose della teologia dialettica, si comprende allora linsistenza con cui Bernardo di Clairvaux (1090-1153) inizia a sviluppare la devozione allumanità di Cristo, oltre che a Maria. È la ripresa del discorso di Efeso e Calcedonia. Ma soprattutto è lo sviluppo sempre più concreto e appassionato della "teologia monastica", adesione sensibile alla Parola di Cristo per arrivare alladesione sensibile alla sua stessa Persona, in un tentativo di identificazione fra discepolo e Maestro Divino simile a quello promosso da Simeone il Nuovo Teologo. Tutto basato sullamore e sul principio che "lamante imita lamato".(42)
Le due correnti del pensiero filosofico-teologico, nonostante errori e condanne, comunque proseguono il loro cammino, stimolate anche dai contatti culturali col mondo bizantino, ebraico, musulmano, che portano a riscoperte sensazionali di autori antichi greci e romani e soprattutto di Aristotele. LAristotele metafisico (quello logico era già noto) entra in occidente attraverso traduzioni non sempre corrette e conduce alla formazione del cosiddetto "averroismo latino", una specie di razionalismo già disponibile a distinguersi, se non a staccarsi, dalla fede e dalla Rivelazione. Ma anche la teologia monastica, sviluppando un allegorismo arbitrario e astruso, applicato per di più alla storia della salvezza, stravolge la pedagogia divina nella storia, il senso della provvidenzialità: si passa così dalle leggende ingenue e fantasiose di molti cronisti dellepoca (per es., di Rodolfo Glabro, 985-1049) allapocalittica vera e propria di Gioacchino da Fiore (1130-1202). In entrambi i casi, sia nella tendenza razionalistica ad oltranza, sia nella tendenza simbolistica esagerata, viene ad essere stravolto il giusto rapporto tra luomo-discepolo e Dio che si fa Maestro nella Scrittura, in Cristo, nella Chiesa.(43)
Bisognava ripartire da zero, dallatteggiamento di disponibilità più radicale. Fu la testimonianza di Francesco dAssisi e della sua "povertà". (torna al sommario)
5.2. Limitazione totale di Cristo Maestro in Francesco dAssisi (1181-1226)
Francesco dAssisi, da quellautentico uomo medievale che era, possedeva acutissimo il senso del simbolismo. E i gesti fondamentali della sua vita furono due, tutti e due estremamente simbolici: il gesto di denudarsi davanti al vescovo e ai cittadini di Assisi, nel 1206, allinizio della sua nuova esistenza; e, ventanni dopo, nel 1226, la richiesta di essere collocato nudo sulla terra della Porziuncola, poco prima di morire. In entrambi i casi viene messo in opera, come per una sacra rappresentazione, il gesto del denudamento totale, come simbolo della povertà totale, a sua volta simbolo della disponibilità totale per la sequela Christi. Dunque, Francesco imitatore totale di Cristo, Dio e uomo e perciò Maestro.
Francesco è un discepolo attento e diligente, minuzioso ed esigente: cerca di riprodurre dentro di sé, su di sé e attorno a sé tutti gli aspetti del magistero terreno di Dio. Nessuno, prima di lui, aveva avuto una devozione così particolareggiata verso il Cristo terreno, verso lumanità di Dio.
Ma, dato che lumanità di Cristo, quella storica, nonostante tutto non è più presente sulla terra, Francesco dilata il suo discepolato, la sua imitazione del Maestro, in due direzioni estreme: vedere e adorare la presenza del Maestro in ogni uomo (perfino nei lebbrosi), in ogni creatura (quindi anche negli animali feroci); identificare addirittura se stesso con Cristo (stigmatizzazione nel 1224).
È stato sottolineato il fatto che Francesco, nelle preghiere e negli scritti, si rivolge direttamente al Padre molto più spesso che non al Figlio, a Cristo. La ragione è che Francesco si sente una cosa sola con il Cristo, con il Figlio. E così lesperienza di Cristo Maestro, in lui, fu veramente totale.(44) (torna al sommario)
Segue: Il basso medioevo
Gesù Il Maestro, ieri, oggi e sempre
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