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Il Maestro nella riflessione teologica
dall'epoca moderna ai nostri giorni

Atti del Seminario internazionale
su "Gesù, il Maestro"
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)

di Don Bruno Forte

 

3. Il ritorno alla storia
nelle teologie del Novecento:
Gesù Cristo, il Maestro vivente in noi
(seconda parte)

Un’analoga circolarità è affermata – in più diretto rapporto alle analisi del presente storico – dalle teologie della prassi, narrative e politiche: «Riflettere partendo dalla prassi storica liberatrice equivale a riflettere alla luce del futuro su quanto si crede e si spera, su un’azione trasformatrice del presente, ma non in vitro, bensì radicandosi dove batte, in questo dato momento, il polso della storia, illuminando il presente con la Parola del Signore della storia, che si impegnò definitivamente con l’oggi del divenire dell’umanità, per portarlo al suo compimento».(36) Il Maestro è Colui che si è sporcato le mani con la storia reale degli uomini, facendone la storia di Dio con loro e quindi il cammino della loro liberazione piena e duratura: ascoltarLo e seguirLo significa vivere lo sforzo di prendere sul serio le due forme di esperienza «che dovranno essere mantenute continuamente e criticamente collegate l’una con l’altra... per un verso l’intera tradizione d’esperienza del grande movimento giudaico-cristiano, per l’altro la nuova esperienza umana che oggi fanno i cristiani e i non cristiani».(37) Anche qui è la circolarità ermeneutica soggetto-oggetto, la reciproca relazione che si pone nella storia fra la Parola veniente e le situazioni umane, che fa scaturire il pensiero e la prassi della fede: non nel senso di ridurre la Parola alla storia, né in quello di dedurre la storia dalla Parola, ma nel vivo e forte senso di leggere la Parola, in tutta la sua normatività, nella storia, e la storia, in tutta la sua precarietà e complessità, nella Parola. L’esodo si apre all’avvento, e l’avvento viene a dimorare nell’esodo: il Maestro si fa vivo e presente in noi, nel cuore della storia, e così tira l’avvenire di Dio nel presente degli uomini, che come lui accettano di esistere per l’Altro, per gli altri. Scriveva Dietrich Bonhoeffer dal carcere dove la barbarie nazista lo aveva rinchiuso in vista del martirio: «L’esserci-per-altri di Gesù è l’esperienza della trascendenza! Solo dalla libertà da se stessi, solo dall’esserci-per-altri fino alla morte nasce l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza. Fede è partecipare a questo essere di Gesù... Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto "religioso" con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare – questa non è autentica trascendenza – bensì è una nuova vita nell’esserci-per-altri, nel partecipare all’essere di Gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta, che è raggiungibile. Dio in forma umana!... l’uomo per altri!, e perciò il crocifisso. L’uomo che vive a partire dal trascendente».(38) Così Gesù è Maestro, non come modello esteriore e lontano, ma come il Dio vicino, sofferente, accanto a noi, in noi, nel vivo delle tensioni della storia: «Gesù Cristo non si pone di fronte alla realtà come un estraneo: egli solo ha portato e sperimentato nel proprio corpo l’essenza del reale traendone parole che nessun altro sulla terra sa dire; egli solo non è caduto nell’ideologia ma è l’essere reale puro e semplice che ha portato in sé e adempiuto l’essenza della storia e ne ha personificato la legge».(39) Gesù è il Maestro perché Lui solo fa presente l’Ultimo al centro e al cuore del penultimo: «Solo Cristo ci dà la realtà ultima, la giustificazione della nostra vita dinanzi a Dio, ma nonostante ciò, anzi, a causa di ciò, non ci vengono tolte o risparmiate le realtà penultime... La vita cristiana è l’albeggiare delle realtà ultime in me, è la vita di Gesù Cristo in me; ma è sempre anche un vivere nelle realtà penultime in attesa di quelle supreme».(40)

Si delinea così una teologia di Gesù Maestro, che tenga insieme i tre ingressi della storia, e sia, perciò fortemente biblica e ricca di ascolto della testimonianza vivente del passato fontale della fede, densamente esistenziale e concreta, attenta alla complessità del presente in cui viene prodotta, tesa a coniugare, infine, le due dimensioni in una permanente apertura al nuovo della promessa di Dio. Di una simile impresa ha offerto una emblematica testimonianza il Concilio Vaticano II: ricco di memoria della Parola di Dio e dei Padri, attento alla compagnia con l’uomo del mondo contemporaneo, esso si è posto come profezia di avvenire, nuovo inizio della situazione storica del cristianesimo. Concilio della storia, il Vaticano II l’ha assunta nella memoria dell’origine, nella coscienza del presente e nella riscoperta apertura al futuro, che non solo determina l’indole escatologica della chiesa peregrinante, ma offre l’orizzonte più vasto per la presenza e l’azione del popolo di Dio nella vicenda mondana. Questa forte percezione dello stare fra i tempi ha consentito alla riflessione del Concilio di coniugare esodo e avvento nella maniera più fedele alla complessità del vissuto ecclesiale e mondano: il senso del Mistero e del primato della Parola di Dio vi si congiunge alla sollecitudine – a volte perfino un po’ troppo ottimista – per l’uomo moderno; il senso della comunione radicata nelle profondità della Trinità santa vi si lega alla sottolineatura della condizione storica del popolo di Dio e dei suoi rapporti con la complessità dell’umano; il senso dell’escatologia si traduca in un forte richiamo alla perenne conversione e riforma. In questa luce Gesù Maestro si offre veramente come il senso e la speranza della storia: «La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla sua suprema vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana».(41) Il Maestro è la rivelazione del cuore umano, la vita nuova del mondo: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».(42)

È questa coscienza storica della fede che la Tertio Millennio adveniente (43) ha fatto propria, rileggendo il cammino dei secoli a partire dall’avvento di Gesù Cristo, Maestro e Signore, «nuovo inizio di tutto»,(44) secondo una "teologia della storia", che riconosce al tempo stesso il dramma del "mysterium iniquitatis" (anche fra i figli della Chiesa) e la consolante certezza della fedeltà divina, che opera mediante lo Spirito nel tempo. Così questa lettura di fede viene incontro alle inquietudini dell’epoca post-moderna, segnata dalla crisi delle certezze ideologiche e dal senso di naufragio e di caduta, che essa ha comportato in molti. Per la fede cristiana la morte del Crocifisso è la morte della morte, perché Colui che muore è il Signore della vita: la "teologia della storia" non è che lo sforzo di rendere ragione – di fronte al dolore del tempo – di questa speranza suscitata dalla Croce del Figlio di Dio. La stessa domanda della croce della storia ha motivato nel profondo le moderne "filosofie della storia", la cui parabola di trionfo e di decadenza ripropone con nuova attualità in questa fine di millennio lo scandalo della Croce del Figlio di Dio come unico, possibile senso alla sofferenza del divenire e perciò come fondamento e contenuto centrale di una visione del mondo e della vita che possa dare significato e speranza alla storia. Quando la violenza esercitata sul reale dall’ideologia si è scontrata con la dura resistenza del reale stesso, è risultato evidente che non basta cambiare il mondo e la vita nel pensiero per poi cambiarli effettivamente nella concreta complessità che li caratterizza. La crisi delle ideologie del progresso storico è crisi di una totalità chiusa, è rottura di un orizzonte che ha voluto imporsi come ultimo, e che – proprio nella fragilità e nelle incompiutezze di ciò che ha prodotto – si è manifestato palesemente penultimo.

Certamente, il naufragio dei sistemi di totalità può cedere anche il posto al loro semplice rovesciamento, ad una sorta di totalità negativa, di amore delle tenebre: una palese riprova di questa possibilità è l’esito nichilista, che il superamento dialettico della ragione moderna assume in molte forme del cosiddetto "postmoderno". Lì dove l’ideologia offriva un senso a tutto, il non-senso sembra ora trionfare su tutte le cose e l’indifferenza, come perdita del gusto a porsi la domanda sul senso, sembra divenire l’atteggiamento dominante. Si fa strada il fascino di un pensiero debole, che neghi tutte le presunzioni del pensiero forte, conservandone tuttavia una sola, e la più terribile: quella di abbracciare l’intero orizzonte. Se il nulla è il tutto rovesciato, e il non-senso è la semplice negazione che ci sia un senso, l’orizzonte resta basso: il paese straniero che sembrava affacciarsi al di là del tramonto della ragione moderna, resta una terra dimenticata, un altrove non preso fino in fondo sul serio... È qui che emerge la sfida ultima che una teologia di Gesù Maestro dell’uomo e della storia, ricca dell’eredità del pellegrinaggio cristiano nel tempo, può offrire alla coscienza di tutti nel nostro presente: una simile teologia dovrà anzitutto testimoniare l’Avvento, che nel Signore e Maestro si affaccia per noi, e dunque evidenziare la forza oggettiva della salvezza che in Cristo raggiunge tutte le cose e si fa presente a ogni essere umano, chiamandolo alla decisione suprema (il «Nolite timere. Ego vobiscum sum» del programma di vita di Don Alberione, riferito alla figura di Gesù Maestro). Essa, però, dovrà non di meno offrire il senso che la luce del Dio che viene getta sugli umili giorni dell’esodo, e riscattare non solo l’oggi della decisione, con il suo no e il suo sì trasformante, ma anche le opere e i giorni che lo precedono e lo seguono (l’«Ab hinc illuminare volo» dello stesso sogno di Alberione, che evidenzia come «da Gesù Maestro tutta la luce si ha da ricevere»). La teologia della storia si offre in questa prospettiva come una teologia della speranza, fondata nell’evento trinitario della Croce e Resurrezione del Figlio, e perciò della continua riforma, che provoca il cuore del singolo e della Chiesa a farsi terreno d’avvento della novità incatturabile del Dio della vita e della storia (il «Poenitens cor tenete», che completa il programma di Alberione). Gesù Maestro diventa così la promessa e la sfida dei tempi nuovi, dischiusi dal tramonto del "secolo breve" e dalla fine dei miti totalitari che così drammaticamente lo hanno segnato: «Il cristianesimo, oggi, – scriveva Luigi Pareyson – non è cosa davanti a cui si possa restare indifferenti. Bisogna scegliere o per o contro. Non c’è via di mezzo: ogni posizione intermedia è stata spazzata via dalla crisi della cultura moderna».(45) Davanti al Maestro che viene e chiama bisogna prendere posizione: «il faut choisir!».(46)

 

           Gesù Il Maestro, ieri, oggi e sempre

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