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Il Maestro nella riflessione teologica
dall'epoca moderna ai nostri giorni

Atti del Seminario internazionale
su "Gesù, il Maestro"
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)

di Don Bruno Forte

 

2. Il trionfo moderno del soggetto:
Cristo Maestro, modello di soggettività compiut
a (5)

La recezione speculativa del nuovo emergere della soggettività viene portata a compimento da René Descartes: il «cogito, ergo sum» è la registrazione riflessa di un atto esistenziale denso e concreto, è il portare alla parola, in maniera sistematica e tale da rifondare l’universo della conoscenza, i diritti del soggetto, radicati nello stesso atto della ragione. È proprio per aver saputo esprimere l’ansia di un’intera epoca, che l’influenza di Cartesio sarà enorme: prima che come maestro di contenuti, egli è maestro di pensiero, che educa alla ricerca di quella chiarezza ed evidenza allo spirito, che diventano norma e misura della verità del conoscere. Nonostante il fascino che eserciterà su molti spiriti religiosi, la forma cartesiana si oppone irriducibilmente al pensiero dell’avvento divino: essa parte dal movimento esodale dell’uomo, nel suo aspetto conoscitivo ed elaborativo e si ferma ad esso. Il Dio di Descartes è un prodotto della ragione, che ne ha bisogno come garante supremo della sua verità e del rapporto – altrimenti irrisolto – fra "res cogitans" e "res extensa", ma non è il Dio vivo sovversivo ed inquietante per l’orizzonte mondano. È per questo anche che la reazione teologica e spirituale a Cartesio e al cartesianesimo sarà ampia e profonda.

In campo teologico il bisogno di ribadire l’oggettività del vero contro le avventure dell’emergente soggettività porta soprattutto l’insegnamento cattolico a presentare senza soluzione di continuità la riflessione fortemente speculativa della Scolastica, impoverendola però progressivamente di ogni presenza di cristologia concreta, che potrebbe anche solo dare l’impressione di un intento esemplaristico e soggettivistico. Lo stesso uso della Scrittura è ridotto sempre più a una raccolta di argomenti probanti o di pie sentenze, fino a giungere all’aridità concettosa dei manuali. Non sorprende allora che la pietà cristologica, separata dalla teologia delle Scuole, si alimenterà di altri percorsi, che andranno dall’accentuazione dell’unione a Cristo, caratteristica di Pierre de Bérulle († 1629), alla spiritualità dell’annientamento in conformità a Colui che è sacerdote e vittima, al rigorismo giansenista del Cristo giudice, alla devozione al Sacro Cuore, come via per entrare nell’intimo del mistero di Cristo Amore, i cui pensieri, affetti, desideri vanno scorti e imitati (San Giovanni Eudes: † 1680). Se nel protestantesimo la forte accentuazione cristologico-biblica delle origini si conserverà, si profileranno non di meno in tutta la loro portata le conseguenze dell’estremizzazione del principio soggettivistico implicito nelle origini della Riforma: la pietà confessionale svilupperà temi intimistici, accompagnati dal rigorismo morale, come nel pietismo iniziato da Philipp Jakob Spener († 1705), mentre la riflessione sulla Scrittura si aprirà alle sfide della ragione illuministica, non solo nella nascita della esegesi critica – che peraltro trova nell’oratoriano Richard Simon un iniziatore in campo cattolico –, ma anche e specialmente negli sviluppi del riduzionismo razionalistico.

Un nome fra tutti si impone nello scenario della resistenza anticartesiana: è quello del grande napoletano Giovan Battista Vico, il pensatore che, «da un angoletto morto della storia», reagisce genialmente alla cattura della soggettività assoluta, ristabilendo l’esatto rapporto con l’oggettività nella circolarità propria del conoscere storico.(6) Il suo anticartesianesimo è anzitutto rifiuto dell’assunto che l’uomo sia solo ragione, in nome del recupero del sentimento, della fantasia e della stessa ragione come ragione concreta. Il "cogito" è insomma visto come constatazione di una presenzialità, che non può essere in alcun modo criterio esclusivo o fonte assoluta di conoscenza. Il criterio del vero si deve allora cercare nel senso della spiegazione, non in quello della mera deduzione interna al pensiero: si conosce una cosa quando la si spiega nelle sue cause, nel suo processo storico. E si spiega così una cosa quando la si fa, e perciò quando se ne può rappresentare l’evoluzione, la vita: «verum ipsum factum». Il senso profondo dell’assioma vichiano «verum et factum convertuntur» viene ad opporsi tanto ad una riduzione idealistica del reale all’ideale, quanto ad una cattura materialistica dell’ideale nel reale, per stabilire una esatta correlazione di soggettività ed oggettività nel conoscere, che non sacrifichi né il valore informativo, il dato, né la trascendenza della norma, la verità divina su cui si misura la capacità epistemologica della mente umana. La correlazione di vero e di fatto è perciò sempre aperta: non si dà una linearità progressiva, ma la permanente possibilità di corsi e ricorsi, che non dicono un’astratta legge dell’eterno ritorno, ma esprimono la concreta permanenza della libertà e delle sue possibilità di caduta e di ripresa. La storia vichiana è storia aperta: in essa il passaggio a stadi successivi e superiori di civiltà rivela una eterogenesi dei fini, che rimanda all’intervento della Provvidenza divina, insieme trascendente e sovrana ed immanente alla vicenda delle sue creature. Lungi dal fare concorrenza all’uomo, la Provvidenza apre nella maniera più radicale al nuovo, all’oltre e al più.

Un’indicazione della possibilità di recepire nel pensiero della fede le geniali intuizioni vichiane e la loro anima profondamente anticartesiana può essere colta in un altro grande napoletano, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.(7) La sua teologia morale e i suoi scritti spirituali – che avranno vastissima influenza in tutto il mondo cristiano – coniugano in maniera mirabile il senso della divinità di Dio a quello dell’umanità dell’uomo e al pensiero del loro incontro in Gesù Cristo: se l’affermazione netta del soprannaturale evita ad Alfonso di cadere in aridi razionalismi, la forte percezione dell’umano lo rende diffidente e liberatorio nei confronti del rigore giansenista. In lui la circolarità di esodo e di avvento è piena, nel puro rispetto delle differenti proprietà di entrambi: sintesi, che è frutto dello stesso mondo in cui sono nate e si sono sviluppate le feconde intuizioni vichiane. In Alfonso il riferimento a Gesù Cristo non è mai quello ad un astratto e lontano modello morale, ma sempre e solo all’esperienza dell’amore del Dio vivente, resa possibile in Lui: all’amore corrisponde solo l’amore; ed è amando e lasciandosi amare che si impara ad amare.(8) Gesù Cristo è il Maestro nella dolcezza e nella forza del Suo amore, che attira e forma il cuore e la vita: «Ecco il Signore del mondo si umilia sino a prender la forma di servo... Ci amò, e perché ci amava si diede in mano de’ dolori, dell’ignominie e della morte più penosa che abbia patito alcun uomo sovra la terra».(9) «È lo stesso amore che insegna a non fare mai cosa che dispiaccia a Dio, ed a far tutto ciò che gli gradisce».(10)

L’emergere della soggettività, tuttavia, non è mantenuto, nello sviluppo dell’età moderna, nell’equilibrio raggiunto da Vico e da Sant’Alfonso: il processo avviato con l’Umanesimo e la Riforma sfocia anzi in quel trionfo del soggetto, che è la vicenda dell’Illuminismo, tanto nella sua traduzione pratica, che è la rivoluzione francese, quanto nella sua espressione teorica, che è l’idealismo tedesco. Il processo è complesso, ma può essere evocato e, almeno in parte, compreso nella sua più alta formulazione riflessa, quella prodotta da G. W. F. Hegel. Hegel vuole pensare la vita, portando alla parola il movimento, la contraddizione, il superamento, che fanno il caldo sangue del nostro esistere e della storia. In lui la verità non è fatta di essenze immutabili ed eterne, non è un oggetto: essa è divenire perenne, che afferma, nega e compie, per nuovamente superare se stessa. Il pensiero acquista così una formidabile dignità pratica: esso è coscienza e fattore del mutamento, movimento dello spirito inesauribilmente superantesi nella storia reale degli uomini. Contro il pensiero della stasi e dell’identità morta, la filosofia deve pensare la vita e perciò anche la contraddizione, come momento proprio di ogni divenire, la relazione, come tessuto concreto di rapporti in cui soggetto e oggetto sono posti, e l’unità, come riconciliazione finale, ricca di tutto il dinamismo del processo, eppure momento sempre nuovamente iniziale. Tutto questo fa il fascino e la bellezza della filosofia hegeliana: la vita del pensiero è il pensiero della vita... Si può comprendere in questa luce come sia proprio dalla cristologia che prende avvio il poderoso monismo hegeliano dello Spirito: l’incontro fra lo Spirito e la storia, che manifesta questa come fenomenologia dello Spirito assoluto nel processo eterno del suo realizzarsi dialettico, si compie in Gesù Cristo, l’uomo divino o il Dio umano, che è in sé l’autocoscienza universale, in cui tutto trova pace e conciliazione. Una conciliazione ed una pace, tuttavia, di un mondo chiuso in se stesso, soddisfatto razionalmente di sé, incapace di ospitare la Differenza e di rispettarne l’eccedenza, e perciò alla fine esposto all’arbitrio di una ragione dispotica, inevitabilmente totalitaria e violenta, come sarà la ragione ideologica in tutte le sue espressioni.

È precisamente questo aspetto che costituisce il rischio e l’incompiutezza della filosofia hegeliana: troppo ambizioso è il progetto di un pensiero, che abbracci la perenne fluidità della vita in una sorta di «trionfo bacchico dove non c’è membro che non sia ebbro». Arrestarsi sembra inevitabile: e la mitologia hegeliana del concetto, la vittoria finale del sistema sulla permanente fluidità della vita reale, è insieme il ripiegamento di Hegel e la tentazione che si affaccia a chi ne raccolga la sfida. La ragione ha bisogno di una riconciliazione compiuta, per sentirsi sicura e appagata: ed Hegel sembra non saper resistere alla seduzione di questo appagamento ultimo. Ve lo spingeva una certa, presuntuosa coscienza di essere la messe, il frutto maturo di tutta un’epoca: in lui le esigenze della soggettività moderna furono spinte alla loro estrema tensione, oltre la quale sembrò non esserci che deserto e noia. Ve lo spingeva la frenatura reazionaria, seguita alla rivoluzione francese, che chiedeva restaurazione e tranquillità, ordine ideale di fronte al disordine sperimentato nel reale. Ve lo spingeva, infine, l’attitudine istintivamente difensiva – e così largamente umana – del pensiero, specialmente se a lungo esercitato, nei confronti del "plus ultra". Il filosofo dell’accadere finisce così col chiudere il movimento della vita nella quiete del sistema, nella riconciliazione di quel monismo dello spirito, che non lascia più spazio alla novità del futuro e alle sorprese dell’avvento. In questa luce Gesù Maestro non è che Colui in cui il processo del mondo è stato definitivamente pubblicato e compiuto: «Ciò che rappresenta la vita di Cristo... è il processo della natura dello spirito, Dio nella forma umana. Questo processo è nel suo sviluppo il progredire dell’idea divina verso la più alta scissione, verso il contrario del dolore e della morte che è essa stessa l’assoluta conversione, il supremo amore, in se stesso il negativo del negativo, l’assoluta riconciliazione, il superamento dell’opposizione dell’uomo con Dio e la fine, che si risolve in quello splendore che è la lieta accoglienza della natura umana nella divina. Il primo, Dio nella forma umana, è reale in questo processo, che mostra la separazione dell’idea e la sua unificazione, il suo compimento come verità. Questa è la totalità della storia».(11)

Tuttavia, se «Hegel negò il futuro, nessun futuro negherà Hegel»:(12) Hegel ha negato il futuro, perché ha assolutizzato l’evento della ragione, celebrando così il trionfo della soggettività moderna. Il futuro del pensiero non potrà però negare il suo problema, la sfida a pensare la forza della vita per trasformarla e trasformare la storia. La malía hegeliana ispirerà imprese di destra e di sinistra, il recupero della singolarità o la lotta di classe: in tutti questi tentativi, per quanto fra loro diversi, rivivrà la fatica hegeliana del concetto, il rifiuto, cioè, di una teoria astratta, a favore di un ideale che sia carico della concretezza dialettica del reale e perciò della passione della storia. Neanche il pensiero teologico potrà negare Hegel, nel suo essere sfida e problema: e ciò non solo perché anch’esso provocato dall’emergenza della soggettività moderna, ma anche per essere più di ogni altro disponibile a questo sforzo di pensare la vita. Qui si coglie come le radici hegeliane siano teologiche: è il pensiero dell’incontro fra l’Assoluto e la storia, che è l’incarnazione di Dio, il nutrimento profondo della radicalità dell’antitesi e della profondità della sintesi di cui vive il sistema hegeliano.

Ciò spiega come un intero mondo teologico cristiano abbia potuto sentire l’influsso ammaliante di Hegel: Schleiermacher vedrà nella religione una «provincia dello spirito», una dimensione cioè della soggettività aperta al sentimento dell’infinita dipendenza, che trova in Cristo la sua forma esemplare. La ricerca di un valore universale del Crocifisso Risorto, che lo faccia assurgere a "verità di ragione" al di là della povera e contingente "verità di fatto" della sua esistenza storica, porterà ad accentuare il Cristo come puro ed altissimo esempio di coscienza morale: Gotthold Efraim Lessing presenta Gesù come «il primo maestro degno di fede e attento alla vita pratica... degno di fede per le profezie che parvero avverarsi in lui; degno di fede per i miracoli compiuti; degno di fede per la sua risurrezione dopo la morte con cui aveva suggellato la sua dottrina... Attento alla vita pratica, perché una cosa è sperare e credere nell’immortalità dell’anima, come si crede e spera in una speculazione filosofica plausibile; altra cosa è, invece, fondare su questa fede la propria vita interiore ed esteriore». Lessing aggiunge però: «Lascio senza risposta la domanda sulla possibilità della risurrezione e dei suoi miracoli; e neanche tento di risolvere la questione della reale natura della persona di Cristo. Tutto ciò poteva avere una sua importanza allora, per convincere all’accettazione della sua dottrina; non è più necessario adesso, per riconoscerne la verità».(13) Gesù diventa il modello dell’anima bella, che ha saputo vivere fino in fondo l’assoluta dipendenza da Dio e l’incondizionata dedizione agli altri: «L’ideale dell’umanità gradita a Dio... non è concepibile da parte nostra che mediante l’idea di un uomo che non sia stato solo pronto a compiere da sé tutti i doveri umani e insieme a diffondere intorno a sé il bene nel modo più intenso possibile mediante la dottrina e l’esempio, ma anche disposto, nonostante ogni tentazione e adescamento, a sottomettersi ai maggiori dolori, compresa la morte più ignominiosa, per il bene del mondo e anche per quello dei suoi nemici».(14) Il Cristo sarà visto come la proiezione dell’autotrascendenza dell’uomo (L. Feuerbach), o sarà modellato sulla base del criterio della ragione indagante, declinandosi nelle tante immagini proposte nelle vite di Gesù della "Leben-Jesu-Forschung". Queste immagini del Nazareno maestro di vita proprio nella sua umanità ordinaria, disegnate nella ricerca dell’autentico volto di Lui, perverranno tutte al medesimo risultato di proiettare su Gesù il desiderio, i gusti e le aspirazioni di un’epoca: il Gesù di un protestante liberale non è che un protestante liberale!(15)

La reazione a queste tesi si esprimerà non solo nella critica e nel rifiuto delle riduzioni liberali e delle tentazioni razionalistiche, ma anche nel tentativo positivo di opporre al trionfo della soggettività il recupero, necessario e salutare, della oggettività. Se la Scuola di Tubinga si sforzerà di operare questo recupero mediante il ricorso al dato della storia – evidenziando come «fede cristiana e teologia poggiano sulla parola divina pronunciata una volta per tutte nella storia e sull’agire storico di Dio», e come perciò «la teologia come tale non ha a che fare con idee generali e con principi astratti ma con la storia»,(16) e dunque con un Maestro vivo e vivente, che è il Signore Gesù risorto dai morti –, la Neoscolastica vorrà contrapporre al naufragio moderno nella soggettività il forte e puro senso dell’oggettività quale si è espresso nei grandi maestri, che hanno cristianizzato Aristotele. In questa seconda linea, tuttavia, «il moderno pensiero storico e la fede cattolica apparvero fin dal principio come termini contraddittor(17) e la comunicazione di linguaggi così diversi, come quello della dialettica medioevale e quello della ragione moderna, risultò impossibile: il Cristo Maestro verrà contrapposto – muro contro muro – al magistero della ragione assoluta e impazzita. A sua volta Kierkegaard reagirà alla riduzione idealistica del Cristo (ma anche a un certo astrattismo razionalistico ed evasivo di certa teologia...) richiamando il valore infinito della sua singolarità: «Cristo è l’uomo umile e tuttavia il salvatore dell’umanità... il segno dello scandalo e l’oggetto della fede...». L’invito di Cristo «sta sul crocevia che divide la morte dalla vita...»: rispetto a lui «partono due vie, l’una porta allo scandalo e l’altra alla fede, ma non si giunge mai alla fede senza passare attraverso la possibilità dello scandalo».(18) L’impressione che la reazione cristiana alla sfida hegeliana lascia è dunque da una parte quella di un asservimento alla ragione moderna (fino agli epigoni del modernismo), e, dall’altra, quella di una chiusura e di un rifiuto senza sufficiente dialogo. Il problema critico, che il XIX secolo lascia aperto alla coscienza della fede, sarà allora quello di una più profonda conciliazione fra la fedeltà all’Eterno e la fedeltà al tempo moderno, fra l’oggettività del Dio vivente e la riscoperta soggettività dell’uomo. Ed il tema di Gesù Maestro, per le declinazioni cui si presta fra oggettivismo ed esasperata soggettivizzazione, sarà una validissima cartina da tornasole di questo confronto.

Segue: Il ritorno della storia nelle teologie del Novecento: Gesù Cristo, il Maestro vivente in noi

 

           Gesù Il Maestro, ieri, oggi e sempre

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