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Il Maestro nella riflessione teologica
dall'epoca moderna ai nostri giorni

Atti del Seminario internazionale
su "Gesù, il Maestro"
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)

di Don Bruno Forte

 

Sommario

1. Dall’oggettivismo al soggettivismo

2. Il trionfo moderno del soggetto:
Cristo Maestro, modello di soggettività compiuta

3. Il ritorno alla storia nelle teologie del Novecento:
Gesù Cristo, il Maestro vivente in noi

 

 

1. Dalla sintesi medioevale
all’emergenza moderna della soggettività
(sulla via della soggettivizzazione dei valori e dell’accentuazione
dell’esemplarità morale del Maestro)

«L’evo moderno – scrive Joseph Lortz – è riconoscibile nella sua peculiare natura anzitutto per la sua diversità dall’età precedente, il medioevo, e cioè per le sue tendenze dissolvitrici: soggettivismo e individualismo, nazionalismo, laicismo e secolarizzazione. Il suo decorso è contraddistinto dall’effettuazione delle potenzialità contenute in questi fattori».(1) Se il mondo medioevale è caratterizzato dalla sintesi, sul piano politico-religioso (Impero-Papato), come su quello del pensiero (mentalità ordinatrice e sistemazioni scolastiche), l’età moderna è contraddistinta dalla dissoluzione della sintesi a livello politico-religioso, come anche socio-culturale. Le cause di questo processo sono complesse e molteplici: se fra quelle politico-religiose vanno segnalate in particolare la formazione degli stati nazionali a monarchia centralizzata (Inghilterra, Francia, Spagna) e la crescente resistenza antiromana, dovuta anche al diffuso malcostume del clero, sul piano più propriamente spirituale ed intellettuale il declino del Medio Evo si annuncia in molteplici forme. Da una parte l’umanesimo, col suo gusto positivo e critico, agevolato dall’invenzione della stampa, consente un esteso contatto personale e diretto coi testi, mai avutosi prima, tale da stimolare in modo nuovo il discernimento e il giudizio del singolo; dall’altra, la "via moderna", inaugurata da Guglielmo d’Occam, oppone il sapere critico umano alla realtà religiosa positiva, relegata in un fideismo di tipo volontarista, mentre il nominalismo produce una diffusa sfiducia nella possibilità di una conoscenza, che abbia reale presa sulle cose. L’inquietudine psicologica del Quattrocento, poi, alimentata dalla insicurezza sociale e politica e favorita da eventi drammatici, quali la peste nera che nel 1348 sconvolse l’Europa, si esprime in una mentalità ansiosa e spesso infantile, in una religiosità sovente superstiziosa, di cui sono segno la caccia alle streghe, tipica di quest’epoca, e la diffusione del tema della morte e del demoniaco nell’arte. Di questo complesso di fattori sarà frutto ed insieme originale espressione la Riforma, che evidenzierà la dissoluzione della precedente sintesi critica e l’emergenza nuova del soggetto nella sua dimensione storico-concreta, nel suo esistere davanti al Dio vivo in maniera unica ed originale.

In ambito teologico la Scolastica – dopo la grande fioritura del XIII secolo – era divenuta sempre più un esercizio dialettico fine a se stesso (si pensi ai sarcasmi di Erasmo nel capitolo 53 dell’Elogio della pazzia, diretto contro «i più pazzi di tutti, i teologi»). Ciò non sarà senza conseguenze sul progressivo distacco della spiritualità dalla teologia, alla ricerca di un’esperienza del Cristo più soggettiva, intimistica e concreta. E precisamente questa pietà intimistica e soggettiva che caratterizza la devotio moderna del tardo Medio Evo, dominata dal motivo dell’imitatio Christi: in reazione all’intellettualismo della tarda Scolastica, favorita dalla separazione nominalistica fra fede e ragione, si sviluppa un’attenzione prioritaria alla vita interiore del soggetto, secondo un bisogno di riappropriazione soggettiva dei valori, cui si connette anche il processo di introiezione della figura di Gesù Maestro. È la lotta spirituale, è il cammino di perfezione dell’anima che emerge in primo piano: e Cristo è il Maestro interiore, che parla all’anima assetata di Dio, offrendosi soprattutto come modello morale e spirituale da imitare e seguire. Così è, ad esempio, nella straordinaria testimonianza di esperienza interiore che è l’Imitazione di Cristo; così negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, che nel confronto con i misteri della vita di Cristo, conducono l’esercitante al discernimento spirituale e alla decisione del cuore davanti all’alternativa suprema, in modo che la vita e le scelte del Maestro rivivano nella sequela del discepolo.

Grande erede della pietà cristologica medioevale e al tempo stesso testimone e artefice degli albori del moderno è Martin Lutero: se in lui il pessimismo nominalistico e l’individualismo esasperato si congiungono ai toni drammatici della sofferta coscienza del secolo XV, risplende non di meno nella sua opera il principio cristologico paolino della theologia Crucis e della gelosia del Cristo. «Crux probat omnia», sta a dire non solo che la Croce è la sovversione e la confutazione di tutte le presunzioni umane, e dunque il più radicale no ad ogni possibile pelagianesimo, che veda l’uomo salvarsi da solo, ma anche che è solo per la via dialettica della rottura e non per quella analogica della continuità, «per passiones et crucem» e «sub contraria specie», che l’uomo può incontrare la rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Per chi accetta la follia della Croce e non presume di avere altra certezza al di fuori di Cristo, Signore e Maestro, e di Lui Crocefisso, la vita nella morte diventa possibile, la sola gratia trionfa, la sola fides salva. Ciò che appare veramente nuovo e moderno in Lutero è che la molla della sua ricerca è il problema esistenziale decisivo, la presa di posizione concreta ed insieme radicale, su cui si gioca tutto, la ricerca della salvezza. Egli «non è un sistematico. In compenso è di gran lunga determinato dall’esperienza vissuta (Erlebnis) e dalla volontà... Tutto ciò che ha scritto e ha detto è confessione, cioè riconoscimento, che è pagato con la vita vissuta e con la propria sofferenza, e che egli deve partecipare agli altri».(2) È dal vissuto delle sue prove e tentazioni e dalla consolante esperienza della grazia, annunciata dalla Parola di Dio, da lui letta e meditata assiduamente, che Lutero attinge gli interrogativi che sono alla base del suo messaggio e costruisce il suo cammino verso la salvezza: Cristo è per lui il Maestro in rapporto al quale si misura ogni bene e ogni verità. «Tutta la fiducia, la vita, la gloria, la potenza, la sapienza dell’uomo non è altri che Cristo. Ma Cristo è nascosto in Dio, perciò tutto quel che appare all’interno o all’esterno non è ciò che può essere presunto da parte dell’uomo, per cui affermo che l’esser fatti stolti, cioè il saper tutto, al di fuori di Cristo è un sapere nulla».(3) È questa affermazione esclusiva e perfino gelosa del Cristo, carica di densità esistenziale, che fa Lutero affine a Paolo e ad Agostino ed insieme lo rende cifra di una nuova età. La sua teologia militante, fortemente radicata nell’esperienza, è immagine e al tempo stesso fattore determinante dei cambiamenti che si annunciano, all’insegna di una nuova attenzione alla soggettività, di cui la dottrina del "libero esame" non sarà che tematizzazione riflessa. Il soggettivismo di Lutero, però, è ancora saldamente ancorato alla forza dell’Oggetto puro, alla vittoria del Dio vivente rivelato in Cristo sul peccato del mondo: «Questa è la stabile differenza tra la legge antica e quella nuova: la legge antica dice a coloro che sono superbi nella loro giustizia: tu devi possedere Cristo e il suo Spirito; la legge nuova dice a coloro che si sono umiliati nella loro povertà, in materia di giustizia, e cercano Cristo: ecco, qui c’è Cristo e il suo Spirito. Perciò, quelli che intendono con Evangelo qualcosa di diverso da lieto annunzio, non comprendono l’Evangelo. Fanno appunto così coloro che l’hanno trasformato in legge invece di intenderlo come grazia; essi, di Cristo, hanno fatto per noi un Mosè».(4) Tuttavia, la rivendicazione del carattere fortemente personale dell’esperienza della Grazia nell’accoglienza del Cristo costituisce la premessa decisiva per l’accentuarsi di quel processo di soggettivizzazione della fede, che culmina nel riferimento al Signore Gesù soprattutto come Maestro e modello morale dell’anima.

Segue: Il trionfo moderno del soggetto: Cristo Maestro, modello di soggettività compiuta

 

           Gesù Il Maestro, ieri, oggi e sempre

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