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Qui., Mar.

Vorrei attirare l’attenzione di quanti avranno la bontà di leggere queste righe su due recenti interventi del Papa in ordine alla Liturgia e alla Riforma voluta dal Concilio Vaticano II e che ha la sua “magna charta” nella Costituzione Sacrosanctum Concilium (SC), promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963. Il primo intervento è rappresentato dal discorso rivolto ai partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica nazionale italiana (Roma, 21-24 Agosto 2017), promossa dal Centro di Azione Liturgica (CAL) nel 70mo anniversario della sua fondazione (cfr. L’Osservatore Romano, venerdì 25 agosto 2017, p. 8). Il secondo intervento, di carattere “istituzionale”, riguarda la lettera in forma di Motu Proprio “Magnum Principium” del 3 settembre scorso e attinente “le versioni dei libri liturgici” nelle lingue volgari. Le disposizioni del Motu Proprio che, tra l’altro prevedono alcune modifiche al canone 838 del Codice di Diritto Canonico, sono entrate in vigore il primo del corrente mese. La Lettera papale è rintracciabile nel sito: vatican.va nel quale si trova anche una nota tecnica circa i cambiamenti apportati al canone sopra citato e un commento del documento pontificio a cura dell’Arcivescovo Arthur Roche, Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Il discorso alla Settimana Liturgica

Il discorso del Papa alla Settimana Liturgica rappresenta una sorpresa per quanti seguono, non senza qualche preoccupazione, ciò che avviene intorno alla Liturgia e, in particolare, il dibattito sulla riforma conciliare e sulla sua applicazione. Dibattito che da alcuni decenni oramai, deve registrare toni polemici e accuse gravissime nei confronti della riforma liturgica alla quale vengono addebitati, tra l’altro, la perdita del senso del “sacro”, il cedimento al secolarismo e il crescente allontanamento dei fedeli dalla “vera” fede cattolica. Da tempo, inoltre, e da più parti, viene invocata “la riforma della riforma” per dare finalmente vita ad una riforma nello spirito “autentico” del Concilio e così mettere anche fine agli abusi, a volte davvero di estrema gravità, che si compiono nelle celebrazioni liturgiche. Tutto ciò disorienta pastori e fedeli e alimenta disimpegno e disinteresse che confina la Liturgia ai margini nella vita delle nostre comunità ecclesiali e ne proclama “l’inattualità” nel presente contesto anche ecclesiale! Nel suo discorso il Papa, dopo aver riconosciuto i frutti buoni portati dalla riforma liturgica conciliare preparata dal Movimento Liturgico che Pio XII giudicò “un passaggio dello Spirito Santo” e soprattutto dall’azione riformatrice di Pio X e dello stesso Pio XII, ha dichiarato: “Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile”. Si spera che questa autorevole dichiarazione, se accolta, possa mettere fine a decenni di ambiguità e stimolare una rinnovata attenzione a ciò che la Liturgia contiene e trasmette nel modo suo proprio: per ritus et preces: vale a dire l’opera della salvezza che il Signore ha “annunziato” e ha effettivamente compiuto nella sua “carne” specialmente nell’ora suprema della sua pasqua di morte e di risurrezione. Perché tutto ciò passi concretamente nelle nostre Comunità, il Papa, come già il Concilio, segnala nella formazione e nell’“educazione liturgica di Pastori e di fedeli”, la “sfida da affrontare sempre di nuovo”. È un dato incontrovertibile che là dove si formano i futuri Pastori, lo studio della Liturgia, che il Concilio annovera “tra le materie necessarie e più importanti” (SC 16), in realtà è la “cenerentola” tra l’eccesso di materie accresciute a dismisura in anni recenti. Senza una seria formazione alla Liturgia, sarà impossibile che i Pastori, affaccendati in innumerevoli “iniziative”, avvertano come essenziale nel loro ministero aiutare i fedeli a cogliere con fede e amore la grandezza e la bellezza di ciò che avviene nella celebrazione dei divini misteri perché non vi assistano “come estranei e muti spettatori”, ma, comprendendoli bene, “per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente” (SC 48).

Il Motu Proprio “Magnum principium

Con questa Lettera il Papa richiama anzitutto “L’importante principio, confermato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, per il quale è indispensabile che la preghiera liturgica, perché possa essere capita, deve essere adattata alla comprensione del popolo con l’introduzione nella Liturgia delle lingue ‘volgari’”. Il Papa, con la consueta franchezza, riconosce che nella traduzione dei testi liturgici siano sovente intervenute difficoltà e incomprensioni tra le Conferenze Episcopali e la Sede Apostolica alla quale compete “regolare” e “ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale”. Di conseguenza, nell’intento di fare chiarezza su ciò che tocca rispettivamente alla Santa Sede e alle Conferenze Episcopali, il Papa dispone alcune modifiche al canone 838 del Codice di Diritto Canonico che regola attualmente tale materia. Viene anzitutto messo in luce il compito della Sede Apostolica che consiste nel “rivedere e valutare” con “un esame o revisione attenta e dettagliata” (recognitio), gli adattamenti apportati dalle Conferenze Episcopali ai libri liturgici al fine di salvaguardare l’unità nella fede e la “sostanziale unità del rito romano”. Alle Conferenze Episcopali, invece, spetta predisporre e approvare la traduzione dei libri liturgici nelle rispettive lingue locali, ponendo attenzione che “salvaguardata l’indole di ciascuna lingua, sia reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale” in lingua latina. Il competente Dicastero Vaticano in materia liturgica, pertanto, non dovrà impegnarsi a predisporre una traduzione alternativa a quella delle Conferenze Episcopali cosa, questa, all’origine di non pochi contrasti e di incomprensibili lungaggini nella promulgazione dei libri liturgici. La Santa Sede, invece, procederà alla “confirmatio” che consiste in un “atto autoritativo” con il quale il Dicastero competente “ratifica l’approvazione” data dalle Conferenze Episcopali, ritenuta quindi fedele rispetto all’edizione tipica latina specialmente per ciò che attiene alle “formule sacramentali, le preghiere eucaristiche, le preghiere di ordinazione, il rito della messa”. Con questa Lettera il Papa, a ben guardare, intende, tra l’altro, favorire l’effettiva e tanto auspicata Collegialità Episcopale che, per la Chiesa Romana, s’intende “cum et sub Petro”! Il tempo dirà se i Vescovi e le Conferenze Episcopali sapranno mettere a frutto, le disposizioni del Successore di Pietro aiutando i Fedeli a riconoscere e ad accogliere nella celebrazione dei divini misteri l’intatto dinamismo di grazia, di riconciliazione, di santificazione che sentono proclamare, nella loro lingua, nel Vangelo del Signore Gesù Cristo.


Don Alberto Fusi, ssp Procuratore generale della Società San Paolo

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