II brano del Vangelo che è appena stato proclamato
contiene alcune delle parole di consolazione che, nel Vangelo di
Giovanni, il Cristo risorto rivolge ai suoi discepoli prima di salire
alla "destra del Padre".
Perché l'ascensione al cielo non sia un nuovo
episodio di angoscia e tristezza per i suoi discepoli, Gesù li prepara
spiegando loro che la scomparsa visibile dai loro occhi non è un
abbandono, ma è l'inizio della presenza dello Spirito.
II rapporto tra il Cristo risorto e i discepoli ha un
futuro perché: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento
non siete capaci di portarne il peso". Sarà lo Spirito di verità
che "guiderà i discepoli alla verità tutta intera".
La relazione tra Cristo e i discepoli compie un paso
più eplicito coinvolgendosi in un rapporto di fede dove entrano in
dialogo il dinamismo delle Persone della Trinità e i discepoli che
continuano la loro esistenza di ogni giorno.
La vita di fede del cristiano di ogni tempo e dunque,
anche la nostra, è vissuta negli ampi orizzonti del vivere e
dell'operare della Trinità che per sua misericordia ha voluto chiamarci
alla vita e offrirci in Cristo la possibilità di diventare eterni.
Senza questo innesto nella vita delle Persone divine
il nostro essere e il nostro fare mancherebbe di quell'energia che dà
senso a tutto il nostro essere. E’ dalla comunione della
Trinità che la nostra fede personale diventa una ragione forte di vita
per noi e si trasforma in atto missionario nella nostra comunicazione
apostolica.
L'episodio di Paolo che parla all'Areopago appartiene
a questa vitalità di una fede missionaria. Per noi Paolini e Paoline
l'atteggiamento di Paolo dinanzi all'Areopago è un modello di
riferimento costante che interroga la qualità della nostra fede e le
scelte dei nostri apostolati.
Non lasciamoci trarre in inganno dall'apparente
insuccesso vissuto da Paolo; gli esegeti di oggi ci offrono argomenti
documentati per non essere superficiali nel meditare questo episodio.
Meditando come l'evangelista Luca descrive la
preparazione del discorso di Paolo, la Chiesa di ogni tempo e, in essa
anche noi Paolini e Paoline, possiamo meglio capire la necessità di
porre al centro dei nostri apostolati il destinatario, di aprirci all'interculturalità,
di assumere l'inculturazione come metodo di evangelizzazione e di
ripensamento del carisma Paolino, di "farci tutto a tutti".
Nelle parole che ho rivolte al Santo Padre
nell'udienza che ha concesso al nostro Capitolo generale, ho voluto
riaffermare davanti a tutta la Chiesa il nostro impegno di fedeltà
creativa al carisma Paolino: "Nello spirito dell'apostolo San
Paolo, desideriamo essere, nella Chiesa e per la Chiesa, un
"laboratorio" di frontiera per considerare la comunicazione in
rete un'opportunità per il Vangelo e per "parlare di tutto
cristianamente", come ci ripeteva il Primo Maestro.
Con gratitudine abbiamo potuto costatare nel discorso
del Santo Padre un forte incoraggiamento e una conferma: ogni
generazione di Paolini deve scoprire la personalità di San Paolo, la
"mistica apostolica" del Beato Don Alberione e l'impegno di
cogliere l'opportunità di ogni forma di comunicazione come via
privilegiata per inculturare il Vangelo.
Se i Paolini e le Paoline del terzo millennio
vogliono essere "San Paolo oggi vivente" devono avere il
coraggio di entrare nel futuro, di assumere i cambiamenti della storia,
di inventare nuove forme di predicazione.
Come il Primo Maestro fondando la Società San Paolo
e, successivamente tutte le altre Istituzioni della Famiglia Paolina, ci
ha dotato di una spiritualità apostolica nella comunicazione della
stampa e dei mass media, con il conforto del magistero, noi Paolini e
Paoline del terzo millennio dobbiamo avere l'audacia di protenderci in
avanti nella cultura di comunicazione.