Fisicamente Don Alberione era un uomo di statura al di sotto della media, esile, fragile. La sua bellezza era tutta spirituale, infatti moralmente era un gigante, aveva la tempra del realizzatore come pochi altri, e le fondazioni nate dal suo cuore e dalla sua operosità lo attestano. Per quanto dipendeva da lui, si nascondeva il più possibile. Proprio per questo si può ripetere con il Magnificat

che fu l’umile esaltato e che la sua umiltà fu la radice della sua grandezza. Egli riconosceva che tutto quello che era riuscito a fare era opera di Dio e, anzi, temeva di ostacolarla e di danneggiarla con le sue insufficienze, le sue incorrispondenze, le sue colpe. Prima di impegnarsi nell’azione, metteva la preghiera alla base di tutto. Poi venivano gli slanci, le decisioni fermissime che apparivano improvvise, ma che avevano alle spalle lunghe ore di silenzio, di solitudine, di colloqui con Gesù Ostia.

Dopo la chiamata al sacerdozio, che sentì quando era ancora giovanissimo, –  “mi farò prete”, rispose alla maestra che gli chiedeva cosa avrebbe fatto da grande – e dopo gli anni passati nel seminario di Bra, a cui è seguita l’entrata nel seminario di Alba e la notte di adorazione del 31 dicembre 1900, il giovane seminarista si prepara alla sua missione con una serietà e impegno straordinario, il che è di grande stimolo per i suoi figli e figlie di oggi e del futuro.  

Infatti, negli anni di preparazione al sacerdozio, lo studio insieme alla spiritualità, costituiscono l’asse portante dell’itinerario formativo del giovane Alberione. Scrive di se stesso: “Per cinque anni lesse, due volte ogni giorno, un tratto della Storia universale della Chiesa del Rohrbacher; per altri cinque anni, quella dell’Hergenrother; per otto anni, nei tempi liberi, lettura della storia universale del Cantù, estendendosi alla storia delle letterature, dell’arte, della guerra, della navigazione, della musica in specie, del diritto, delle religioni, della filosofia”. Dopo l’ordinazione, avvenuta il 29 giugno 1907, Don Alberione, oltre all’incarico di direttore spirituale del seminario, che mantenne fino al 1920, svolse altri uffici, tra cui quello di insegnante di storia civile al liceo, storia ecclesiastica e liturgia, storia dell’arte; fu maestro di liturgia e arte ed insegnò teologia pastorale ai novelli sacerdoti. Svolse il compito di bibliotecario nel seminario, fu maestro di religione nell’Oratorio maschile di Alba, direttore dei terziari domenicani della Diocesi, ecc.

Questa sequenza impressionanti di attività e responsabilità del Fondatore ci lascia senza parole, ci rivela il fuoco che gli bruciava dentro, la sua ricerca senza sosta del Signore e della sua volontà nonché il forte desiderio di mettere in pratica tutto quello di bello, buono e vero veniva apprendendo negli studi e nella formazione religiosa: davvero un modello stupendo da cui lasciarci ispirare e da imitare, noi, figli e figlie di Don Alberione del XXI secolo.

Il Fondatore sapeva leggere i “segni dei tempi”, sentiva che era l’ora di fare qualcosa di “nuovo”. Scriveva nel 1922: “Le quattro pie donne che fanno la comunione ogni mattina, i quattro giovani che si radunano attorno al parroco ogni sera, non sono tutto il paese, non sono tutto il popolo: molte altre pecorelle stanno fuori dell’ovile... bisogna che il Pastore vada a loro: oggi a queste anime si va con la stampa. Una volta bastava aspettare la gente in Chiesa, oggi è necessario andarla a cercare in casa, sul campo, in officina: quanti amano le anime, lo facciano”.

Secondo l’insegnamento di Don Alberione tutte le invenzioni umane debbono essere poste al servizio del Vangelo: ogni macchina da stampa diventa per lui un pulpito; il giornale, il film, il disco, si devono trasformare in annunzio di salvezza. E oggi, al tempo di internet e dei social, siamo sempre più invitati ad “abitare” questo ambiente comunicativo per essere una presenza paolina significativa affinché il Vangelo possa giungere a tutti, lontani e vicini.