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Jue, Mar

La Quaresima, com’ è noto, ha lo scopo di preparare i Fedeli a celebrare l’annuale solennità della Pasqua del Signore da cui “è scaturita per tutto il genere umano la salvezza” dispensata, a quanti credono nel Vangelo, attraverso i Sacramenti cosiddetti dell’Iniziazione Cristiana la cui “porta d’ingresso” è il Battesimo. Di qui discende la natura battesimale della Quaresima e la conseguente dimensione penitenziale per il recupero della grazia compromessa dal ritorno volontario sotto il dominio del peccato. Nell’intento di offrire un contributo che possa accompagnarci nel cammino quaresimale oramai imminente, penso di muovermi nella linea biblico-liturgico-sacramentale prestando attenzione alla preghiera con cui la Chiesa avvia la Quaresima. Si tratta dell’orazione colletta della prima domenica di Quaresima, appartenente alla tradizione liturgica propriamente “romana” risalente al VI-VII sec. e di cui propongo una traduzione quasi letterale dell’originale in lingua latina: “Concedi a noi, Dio onnipotente, attraverso l’annuale pratica del sacramento  della Quaresima, di progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e di conformarci, con una degna condotta di vita, a ciò che quel mistero opera in noi”. L’ orazione si poggia sull’invocazione iniziale diretta a Dio da cui fa dipendere sia la pratica annuale della Quaresima designata come sacramento, sia le finalità, quella di progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e della conformazione con una degna condotta di vita, a ciò che quel mistero opera.

 Il “sacramento” della Quaresima

Il termine “sacramento”, in riferimento alla Quaresima, va inteso non nel senso tecnico del Settenario, ma in quello più ampio per indicare un evento nel quale si manifesta e si realizza il disegno salvifico di Dio in Cristo. Qui il riferimento è al racconto evangelico della tentazione di Gesù da leggere in continuità con quello del battesimo al Giordano dove la Voce lo proclama quale Figlio, quello suo, l’unico, quello amato sul quale scende e si posa lo Spirito che, subito, lo spinge quasi a forza nel deserto, per quaranta giorni, senza altro cibo che la Scrittura per essere sottoposto alla tentazione che riguarda essenzialmente il suo rapporto filiale con il Padre. La Chiesa ha compreso tale evento come il prototipo fondativo del “sacramento quaresimale” e della sua peculiarepratica annuale” (nell’originale in lingua latina: annua exercitia) che lo caratterizza. Il termine exercitium, di evidente provenienza dal mondo militare, fa pensare all’osservanza quaresimale come ad un prolungato “addestramento” al fine di preparare i Fedeli, rinati come “figli” nell’acqua del Battesimo, ad affrontare efficacemente la tentazione, ovvero, il combattimento contro lo Spirito del male e poter così progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e nella conformazione, con una degna condotta di vita, a ciò che esso opera. Gli exercitia da praticare costantemente nel deserto di questo mondo, consistono essenzialmente nel digiuno e nel prolungato ascolto della Parola di Dio. Il digiuno dai cibi e dai piaceri mondani, va vissuto come progressiva rinuncia a ciò di cui si alimenta l’”ego” ipertrofico insediato nel cuore di ogni uomo e che, di fatto, lo sottrae alla vitale relazione filiale con Dio e inibisce ogni giusto rapporto con il Prossimo. Così inteso, il digiuno stimola la fame, quella della Parola “che esce dalla bocca di Dio” e che, sola, può metterci al riparo dagli assalti del Nemico. La tradizione liturgico-patristica, riscontrabile facilmente nel Messale e nel libro della Liturgia delle Ore, ha integrato questi essenziali exercitia con la preghiera, quella filiale nel segreto del cuore e quella della Chiesa radunata in assemblea liturgica, e con l’ elemosina o “misericordia” . Questa si addice propriamente ai figli del Padre celeste compassionevole e misericordioso oltre ogni umana comprensione e si concretizza, alla scuola di Gesù, nel concedere il più sincero e largo perdono delle offese, nel prendersi cura del povero e dell’umiliato, cosa questa oltremodo gradita a Dio e capace di coprire la moltitudine del nostri peccati.

Il progresso nell’intelligenza del mistero di Cristo

Attraverso un simile annuale “addestramento” è possibile per i Fedeli sperare da Dio la grazia di fare un passo in avanti nell’intelligenza del mistero di Cristo, il Figlio “amato” eppure sottoposto alla tentazione che si ripresenterà in tutta la sua drammaticità al “momento fissato” (Lc 4,13), vale a dire nell’ora della sua passione e morte. Tale “intelligenza” non progredisce con la semplice “conoscenza” né a livello sentimentale o puramente emotivo, ma come reale e personale “esperienza” di Lui che ci parla nelle Scritture, ci nutre di sé nell’Eucaristia e dispensa la sua grazia nei divini misteri. Tale esperienza è decisiva per la comprensione della vera profonda identità di quanti, sottratti al potere distruttivo del peccato e rinati dall’acqua e dallo Spirito alla grazia di Figli di Dio, sono incorporati nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. Occorre per questo mettersi alla scuola della Parola ascoltata, pregata, celebrata nel seno della Comunità ecclesiale. Guidata dallo Spirito Santo, comprende che quanto la Scrittura annunzia di Cristo e del suo mistero, è partecipato ai Credenti nella celebrazione dei Sacramenti Pasquali del Battesimo, della Cresima, dell’Eucaristia. A tale riguardo la sapienza pedagogica della Chiesa ha individuato fin dal IV sec. alcuni brani evangelici idonei ad accompagnare i Catecumeni nella progressiva consapevole partecipazione al mistero di Cristo “per la via della fede e dei sacramenti” e i Fedeli che, battezzati da neonati, avvertono l’urgenza di recuperare un autentico cammino di iniziazione cristiana, ovvero di far rifiorire, con la penitenza, la grazia battesimale offuscata dal peccato. Si tratta del brano evangelico delle prime cinque domeniche di Quaresima dell’Anno A così denominate: della Tentazione, della Trasfigurazione, della Samaritana, del Cieco nato, di Lazzaro.

La conformazione della vita al “mistero” di Cristo

Strettamente dipendente da quella ora accennata, la seconda richiesta dell’Orazione supplica il Padre onnipotente di concedere ai Fedeli di far trasparire nitidamente nella loro vita il dono di grazia ricevuto nella configurazione sacramentale a Cristo. La Chiesa, attingendo alla fonte della Parola di Dio celebrata nei divini misteri, ha sempre trasmesso, fino ad oggi, la sua fede in ordine all’effetto salvifico operato nella partecipazione sacramentale al mistero di Cristo. A tale riguardo trovo ancora illuminanti le parole di San Giovanni Crisostomo che alludono a quelle dell’Apostolo, suo Maestro: “Quando quello sente parlare di lavacro, pensa solo all’acqua; io non solo vedo quello che appare, ma anche la purificazione dell’anima per mezzo dello Spirito. Quello pensa che io abbia lavato soltanto il corpo; io invece credo che anche l’anima è diventata pura e santa e penso al sepolcro, alla risurrezione, alla santificazione, alla giustizia, alla redenzione, all’adozione, all’ eredità, al regno dei cieli, allo Spirito che mi è stato dato”. Ad esse unisco quelle di S. Ambrogio il quale confortava così quanti, tornati alla schiavitù vergognosa del peccato, rendevano opaco il dono di grazia ricevuto nel Battesimo:”La Chiesa possiede l’acqua e le lacrime: l’Acqua del Battesimo, le Lacrime della Penitenza” La grazia sacramentale del perdono, unita all’osservanza quaresimale normativa per l’intera nostra vita, è messa a nostra disposizione non solo per resistere al male che ci affascina, ma per progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo che è il nostro “mistero” e perché risplenda sempre più sul nostro volto quello dell’uomo “celeste”, quello di Gesù!

* Don Alberto Fusi è il Procuratore generale della SSP.

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