Il recente pubblico riconoscimento e la solenne proclamazione della santità di Paolo VI, nato a Concesio, Diocesi di Brescia, il 26 settembre 1897 e deceduto nel palazzo apostolico di Castel Gandolfo (Roma), il 6 agosto 1978, riguarda essenzialmente l’intera compagine ecclesiale e, in essa, la nostra Famiglia religiosa, segnatamente la Società San Paolo. Queste righe non intendono tracciare un profilo anche minimo della figura e dell’opera di Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, per cui rimando alle recenti nostre pubblicazioni a firma di Rino Fisichella, di Leonardo  Sapienza e, alla Biografia Storica e Spirituale di Giselda Adornato. Mi limiterò semplicemente ad esporre, senza alcuna pretesa, qualche dato che, a mio avviso, si riveli utile ad illuminare il singolare rapporto venutosi a creare nel tempo tra Giovanni Battista Montini che divenne papa con il nome di Paolo, il sesto nella serie dei Pontefici Romani e Don Alberione, nella speranza che qualche giovane Confratello decida di investigare a livello “scientifico” tale rapporto di indubbio interesse per la nostra Congregazione, ma non solo!

Mon. Montini e Don Alberione

Tale singolare rapporto è stato propiziato dall’eccezionale ambiente culturale nel quale si è formato il giovane prete bresciano attratto dal pensiero filosofico e teologico dei grandi pensatori francesi, ma prima ancora è stato favorito dall’ ambiente famigliare in cui crebbe il futuro Pontefice. Il Padre, Giorgio Montini, (1860-1943), esponente di primo piano del cattolicesimo “popolare” lombardo e poi deputato del partito Popolare, dal 1911 e per trenta anni fu Direttore del giornale “Il Cittadino di Brescia” che lo stesso Paolo VI così descrisse:” un modesto ma ardimentoso quotidiano di provincia […] una splendida e coraggiosa missione al servizio della verità, della democrazia, del progresso; del bene pubblico, in una parola” (Cit. G. Adornato, p.16). Sono parole che dicono il fermo convincimento del valore della “stampa” al servizio delle cause le più alte e le più nobili; parole che si possono accostare a quelle pronunziate ripetutamente da Don Alberione fin dagli inizi della sua straordinaria impresa apostolica. Più tardi, da giovane minutante della Segreteria di Stato, intuì le potenzialità della Radio, appena “inventata” da Guglielmo Marconi e prontamente introdotta in Vaticano da papa Pio XI. Non sorprende, di conseguenza, l’immediato interessamento e apprezzamento di Mons. Montini per “l’apostolato Paolino” e per lo stesso Don Alberione a partire dagli anni del suo lungo soggiorno “romano”. Un apprezzamento plasticamente reso dalla foto che lo ritrae, nel 1952, accanto allo stesso Don Alberione, ai Religiosi e agli aspiranti paolini del vocazionario di Roma mentre osserva compiaciuto le nuove macchine del reparto Offset. Un segno evidente della crescente stima e comunione di intenti apostolici è documentato dall’agenda che riporta i selezionati incontri di Montini nei primi giorni del suo arrivo a Milano quale Arcivescovo della Diocesi Ambrosiana (6.1.1954-21.6.1963) e tra i quali spicca il nome del nostro Fondatore.

Papa Paolo VI e Don Alberione

Il primo incontro tra il nostro Fondatore e il Papa avvenne il 22 agosto 1963 presso l’allora casa di cura per i Religiosi “Regina Apostolorum” di Albano  nella quale era ricoverata la Prima Maestra delle Figlie di San Paolo. Ad esso sono succeduti due significativi contatti epistolari rispettivamente inviati il primo l’11 marzo 1964 in occasione dell'80° compleanno di Don Alberione e il secondo il 29 giugno 1967 in occasione del 60° anniversario della sua Ordinazione sacerdotale. Nel primo messaggio, scritto secondo i canoni protocollari della Curia Romana, si intravede nitidamente la “mente” del Papa il quale, dopo aver lodato Don Alberione per la molteplicità delle sue opere “per la gloria del Vangelo”, così a lui si rivolge: "Imbevuto dello Spirito di San Paolo Apostolo, con magnifico ardimento […], ti adoperi per sottomettere al soave governo del Maestro Divino e a servizio della verità salutifera i mezzi tecnici che il mondo moderno produce” (Cit. da G.Barbero, Il Sacerdote Giacomo Alberione. Un uomo-un’idea, Roma 1991, p. 865). Ma è nell’udienza concessa il 28 giugno 1969 ai Membri del Capitolo straordinario della nostra Congregazione, che Paolo VI compie gesti e pronuncia parole che esprimono in maniera del tutto inaspettata il riconoscimento al più alto livello dell’impresa apostolica di Don Alberione e la venerazione e personale ammirazione per lui. Nessuno come Paolo VI, intenzionato a capire senza pregiudizi o affrettare condanne il mondo in cui si trovava a vivere, ha compreso il nostro “apostolato” come autentica necessaria “predicazione” del Vangelo all’uomo di oggi; così nessuno come Paolo VI ha tracciato con parole ispirate il più sintetico, efficace, veritiero profilo biografico del nostro Fondatore e la natura “apostolica” della sua opera, indicando con ciò, alle generazioni di Paolini, la via da percorrere in fedeltà allo spirito del carisma da Lui trasmesso alla Chiesa. E’ bene riascoltarle ancora: "Eccolo: umile,silenzioso,instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera […], sempre intento a scrutare i “segni dei tempi”, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, il nostro Don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovo mezzi per dare vigore e ampiezza all’apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo e con mezzi moderni” (Cit da G. Barbero, p. 899).

Rimane, infine, scolpita per sempre nella storia della nostra Congregazione da trasmettere come preziosa eredità alle giovani generazioni di Paolini, l’ora drammatica dell’agonia e della morte di Don Alberione avvenuta il 26 Novembre 1971. Sappiamo che per tutta quella giornata il Papa visse in apprensione e volle essere continuamente informato sulle condizioni di Don Alberione finché prese la decisione di recarsi di persona a salutarlo e a benedirlo. La documentazione fotografica di quella visita, di fatto silenziosa, dice la partecipazione sincera del Papa alla sofferenza dell’Amico e la gratitudine Sua e della Chiesa per un riconosciuto “apostolo” dei nostri tempi. Il suo ingresso nel corridoio che portava alle stanze di Don Alberione, il suo girare attorno lo sguardo con stupore per la povertà dell’alloggio, quel suo mettersi in ginocchio sul pavimento accanto al letto del Morente e l’autografo recante con la firma e la data, il suo motto episcopale: "In nomine Domini”, sono gesti rivelatori dell’ umanità e della nobiltà d’animo di Paolo VI e racchiudono il “mistero” dell’intera esistenza di due Uomini che, alla scuola dell’Apostolo, hanno amato di amore esclusivo il Signore Gesù Cristo e la Chiesa, Suo Corpo, consacrati alla diffusione del Vangelo con la testimonianza di vita, con “la parola della predicazione” nelle multiformi possibilità di “comunicazione” messe a disposizione dall’ingegno dell’uomo.


*Alberto Fusi, sacerdote paolino italiano, è il Procuratore Generale.